Lavorare nuoce alla salute

L’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro ha commissionato un sondaggio condotto nei 27 Paesi membri sulla percezione da parte dei cittadini europei della sicurezza sul lavoro.

Se da un lato i risultati non stupiscono per quanto riguarda il
nostro Paese (l’87% degli italiani considera che la cattiva salute sia
almeno in parte causata dal lavoro), dall’altro confermano che non si
tratta certo di un fenomeno circoscritto a un solo paese: in media 75
europei su cento concordano nel considerare che il lavoro incide
negativamente sulla loro salute.

Ma ancora più sorprendente sono le risposte alla domanda: «Se lei
dovesse decidere di accettare un nuovo lavoro, quali sono, tra le
seguenti, le due opzioni che influenzerebbero di più la sua decisione?»
 
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Le origini del debito pubblico

Benché da quasi trent’anni il debito pubblico condizioni pesantemente
il discorso e l’agire politico in Italia, il silenzio permane sul
processo storico che portò ad una tale accumulazione di passività.
Eppure, non vi è niente di più istruttivo riguardo alla vita politica
italiana…

Nel dicembre del 2002, Michele Salvati, padre del futuro Partito
Democratico, scriveva su Repubblica: in seguito a “le grandi
rivendicazioni operaie e studentesche, più in generale le turbolenze
sociali, della fine degli anni ’60 e dell’inizio degli anni ’70 […]
inizia […] una rincorsa inflazione-svalutazione di una intensità e di
una durata che nessun altro Paese serio c
onosce, alla quale si aggiunge
una serie ininterrotta di disavanzi di bilancio che rapidamente dà
origine ad un debito pubblico di dimensioni allarmanti”.

 

Debito pubblico in percentuale di PIL

Fonte: Base informativa pubblica della Banca d’Italia 

 

 

La spiegazione delle origini del debito pubblico è ormai accettata e
interiorizzata dall’opinione pubblica: in un paese poco "serio", "i
ceti dirigenti pubblici" non riuscirono (o non vollero) "ricondurre
rapidamente a ragione, nei limiti delle risorse disponibili" le spese
sociali derivanti dalle contestazioni giovanili e operaie.
E’ quindi dimostrato il legame di causa-effetto fra l’aumento delle
spese sociali e il debito pubblico.
La teoria è raramente accompagnata da cifre che ne mostrino
l’evidenza…

In Italia, il rapporto debito/Prodotto Interno Lordo (PIL) si trova nel
1980 al 60%: la media dei paesi dell’Europa a 15 oscillerà attorno a
questa cifra per tutto il ventennio successivo. Così non sarà per il
nostro paese: gli anni Ottanta videro una progressione costante del
debito fino a raggiungere nel 1994 il 121.5% del PIL. Allo stesso modo,
gli anni Ottanta furono un decennio di grandi disavanzi: questi
viaggiarono su una media del 10.7% del PIL contro il 4% dei paesi
dell’Europa a 15, cioè poco più di un terzo. E’ quindi vero che furono
le spese e i conseguenti disavanzi di bilancio dello Stato a spingere
il debito verso l’alto?

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Intossicazione mediatica

Qualche mese fa una catena di scioperi «selvaggi» si
impadroniva delle prime pagine dei giornali di mezza Europa.
All’origine vi era la protesta di migliaia di operai inglesi contro
l’arrivo nelle raffinerie di Lindsey (Regno Unito) di lavoratori
stranieri, per la maggior parte italiani e portoghesi. Quella della
febbre xenofoba, conseguenza della crisi economica, sarà somministrata
alla quasi totalità dei cittadini europei come causa dell’accaduto.

Verità o menzogna?


 

Seicentoquarantasette.
Tante sono le lettere di licenziamento che i responsabili dell’impresa
francese Total hanno imbucato la mattina del 18 giugno scorso. I
destinatari, tutti operai inglesi impiegati nelle raffinerie site a
Lindsey, scioperavano per solidarietà verso altri 51 operai a loro
volta dichiarati… superflui.

Ma per una volta non saranno i lavoratori a dover fare buon viso a
cattiva sorte. Altrettante infatti sono state le riassunzioni con le
quali Total ha dovuto reintegrare tutti i lavoratori licenziati in
seguito all’accordo ottenuto dagli scioperanti dopo una schiacciante
vittoria sindacale.

 

Lungi dall’essere un evento isolato, la vicenda fa seguito
all’ondata di scioperi che lo scorso febbraio è dilagata dalle
raffinerie di Lindsey verso decine di altri impianti energetici
inglesi. All’origine, l’arrivo di operai italiani e portoghesi
reclutati dall’impresa italiana IREM, vincitrice dell’appalto per i
lavori di desolforazione bandito dalla francese Total, proprietaria
degli impianti.

Silenzio radio in Italia


Il silenzio della stampa italiana sugli ultimi risvolti della
vicenda contrasta con la rilevanza data agli eventi di febbraio: di
fronte a operai che scandivano in corteo «lavoro inglese ai lavoratori
inglesi», slogan elettorale del primo ministro Gordon Brown passato del
tutto inosservato a suo tempo, la stampa europea e in particolare
italiana denunciava con toni millenaristici l’avvento del secolo della
xenofobia: in preda al panico conseguenza della crisi economica, ci
veniva detto, il popolo stava dando libero sfogo ai suoi istinti più
bassi, primo fra tutti la paura dello straniero.

«Informazione» al servizio dei partiti


Pensando di dare una mano a un Partito Democratico incapace di
arginare l’ascesa leghista, La Repubblica commentava fuor di metafora:
«Brutti, sporchi e cattivi […] Gli inglesi ci vedono di nuovo così». Dal canto suo, il Presidente Napolitano,…

 

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Un altro mondo è possibile?

Fin dalla sua nascita, l’economia ha cercato di intrattenere un’immagine di scienza asettica, indipendente dai rapporti sociali nell’ottica non dichiarata di rendere indiscutibile la distribuzione della ricchezza e l’organizzazione della società. I risultati di tale lavoro ideologico sembrano più che mai visibili oggi quando, di fronte a una crisi che dilaga di giorno in giorno, nessuno sembra in grado di offrire una proposta concreta di società alternativa.

 


 

Per i primi studiosi che tentarono di fare dell’economia una scienza – gli economisti classici – il mondo si divideva in tre categorie: coloro che disponevano di un capitale, i capitalisti, coloro che possedevano la terra, i proprietari terrieri e coloro che non disponevano ne dell’uno ne dell’altra, i lavoratori. I rapporti fra queste tre classi si reggevano su un insieme di «leggi naturali» oggetto di studio dell’economia. Fra questi si trovava il principio della mano invisibile, enunciato da Adam Smith…

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Debito pubblico e evasione fiscale

Quanto ha pesato l’evasione fiscale italiana sul debito pubblico? 10%? 20%? 50%? Sembrerebbe difficile poter stabilire una cifra… e invece si: nel lontano 1994 furono stabilite cifre precise (e strabilianti) riguardo al peso dell’evasione sul debito.

A tal punto che l’evasione merita senza dubbio l’appellativo di «madre del debito italiano»

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La morale è sempre quella

La crisi non fa a tutti lo stesso effetto.

70 manager di American International Group (AIG), a cui
la banca centrale americana ha appena concesso un prestito
straordinario di 85 miliardi di dollari per salvarla dal fallimento, si
concedono una «vacanza premio» da 440 mila dollari qualche giorno dopo,
con tanto di partite di golf e massaggi.


Mentre la società Lehman Brothers licenziava i suoi dipendenti a
centinaia in giro per il mondo, questi ultimi subivano la beffa oltre
l’inganno: titolari di un terzo delle azioni della loro società con cui
sono stati pagati per anni i loro stipendi, vedevano svanire nel nulla
non solo lo stipendio del mese di settembre, ma anche…

 

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Crescita e occupazione: inganno sociale

"Soltanto la crescita crea occupazione". Da anni martellata da tutti i
mezzi di comunicazione l’idea è diventata una verità indiscutibile. A
tal punto che risulta quasi difficile credere che gli ultimi
cinquant’anni abbiano dimostrato proprio il contrario.

 

Nei quasi cinque decenni che vanno dal 1960 a oggi,
l’economia italiana ha creato circa quattro milioni di posti di lavoro.
In termini percentuali il numero degli occupati è cresciuto del 19%,
cifra che sebbene sembri fallimentare rispetto alla prestazione
dell’economia statunitense (+118%) rimane comunque migliore di ciò che
è stato fatto in Gran Bretagna (+18%). Più sorprendente è invece la
crescita del Prodotto Interno Lordo: il PIL nostrano sfoggia un
ragguardevole +292%, cifra di tutto rispetto se comparata al +362%
ottenuto oltreoceano.

Anche l’osservatore più distratto avrà colto
l’incoerenza di queste cifre: come è possibile che due economie che
dopo tutto sono cresciute in modo comparabile abbiano creato
occupazione in modo cosi’ diverso?

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La questione retributiva

Fra il 1986 e il 2006 in Germania, i salari netti sono aumentati di… 5 Euro,
mentre in Francia, incalzato sul potere d’acquisto delle retribuzioni
dai giornalisti durante una conferenza stampa, Nicolas Sarkozy non ha
potuto evitare di confessare la sua totale impotenza.
In Italia le cose non vanno certo diversamente…

 

Ultimo atto (incompiuto) del governo Prodi II è stata
la questione retributiva.
In periodo di rinnovo nonché di «riforma» dei contratti, un impulso
inaspettato alla discussione è stato dato dalla Banca d’Italia: prima
con una dichiarazione dell’ottobre scorso [3],
in cui Mario Draghi non esitava a giudicare “troppo basse” le
retribuzioni in Italia e poi con l’indagine sui bilanci delle famiglie
nel 2006 che evidenziava la sostanziale stagnazione dei salari reali
dal 2000.
Riassumendo i termini della questione, il discorso della Banca d’Italia
e di Confindustria (ma anche di numerosi rappresentanti sindacali) si
articola in due punti:

  • le retribuzioni in Italia sono inferiori a quelle degli altri più importanti paesi industrializzati
  • dall’inizio degli anni 2000
    (introduzione dell’euro), ma qualcuno si spinge anche fino al 1992
    (abolizione della scala mobile) le retribuzioni sono rimaste invariate
    o, al più, hanno subito lievi aumenti in termini reali.


Quota di PIL destinata ai salari - Tasso di disoccupazione

Fonte: base di dati dell’Unione Europea AMECO

 

In entrambi i casi l’analisi “nazionale” del problema condiziona
fortemente il ventaglio delle soluzioni possibili: così Romano Prodi
(sostenuto a gran voce dalla Sinistra dell’ex Unione) poteva facilmente
presentarsi come salvatore della Patria dichiarando, qualche giorno
prima della caduta del suo governo, che il momento dello sviluppo era
arrivato: grazie al cosiddetto «tesoretto», una consistente riduzione
delle tasse sul lavoro dipendente avrebbe rinvigorito una dinamica
salariale ormai quasi piatta.
Insomma sembrano lontani i tempi in cui Carlo Azeglio Ciampi attaccava
senza sosta gli eccessivi aumenti del costo del lavoro.
Improvvisa presa di coscienza o sottile strategia politica?

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