Benché da quasi trent’anni il debito pubblico condizioni pesantemente
il discorso e l’agire politico in Italia, il silenzio permane sul
processo storico che portò ad una tale accumulazione di passività.
Eppure, non vi è niente di più istruttivo riguardo alla vita politica
italiana…
Nel dicembre del 2002, Michele Salvati, padre del futuro Partito
Democratico, scriveva su Repubblica: in seguito a “le grandi
rivendicazioni operaie e studentesche, più in generale le turbolenze
sociali, della fine degli anni ’60 e dell’inizio degli anni ’70 […]
inizia […] una rincorsa inflazione-svalutazione di una intensità e di
una durata che nessun altro Paese serio conosce, alla quale si aggiunge
una serie ininterrotta di disavanzi di bilancio che rapidamente dà
origine ad un debito pubblico di dimensioni allarmanti”.
Fonte: Base informativa pubblica della Banca d’Italia
La spiegazione delle origini del debito pubblico è ormai accettata e
interiorizzata dall’opinione pubblica: in un paese poco "serio", "i
ceti dirigenti pubblici" non riuscirono (o non vollero) "ricondurre
rapidamente a ragione, nei limiti delle risorse disponibili" le spese
sociali derivanti dalle contestazioni giovanili e operaie.
E’ quindi dimostrato il legame di causa-effetto fra l’aumento delle
spese sociali e il debito pubblico.
La teoria è raramente accompagnata da cifre che ne mostrino
l’evidenza…
In Italia, il rapporto debito/Prodotto Interno Lordo (PIL) si trova nel
1980 al 60%: la media dei paesi dell’Europa a 15 oscillerà attorno a
questa cifra per tutto il ventennio successivo. Così non sarà per il
nostro paese: gli anni Ottanta videro una progressione costante del
debito fino a raggiungere nel 1994 il 121.5% del PIL. Allo stesso modo,
gli anni Ottanta furono un decennio di grandi disavanzi: questi
viaggiarono su una media del 10.7% del PIL contro il 4% dei paesi
dell’Europa a 15, cioè poco più di un terzo. E’ quindi vero che furono
le spese e i conseguenti disavanzi di bilancio dello Stato a spingere
il debito verso l’alto?
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