La questione retributiva

Fra il 1986 e il 2006 in Germania, i salari netti sono aumentati di… 5 Euro,
mentre in Francia, incalzato sul potere d’acquisto delle retribuzioni
dai giornalisti durante una conferenza stampa, Nicolas Sarkozy non ha
potuto evitare di confessare la sua totale impotenza.
In Italia le cose non vanno certo diversamente…

 

Ultimo atto (incompiuto) del governo Prodi II è stata
la questione retributiva.
In periodo di rinnovo nonché di «riforma» dei contratti, un impulso
inaspettato alla discussione è stato dato dalla Banca d’Italia: prima
con una dichiarazione dell’ottobre scorso [3],
in cui Mario Draghi non esitava a giudicare “troppo basse” le
retribuzioni in Italia e poi con l’indagine sui bilanci delle famiglie
nel 2006 che evidenziava la sostanziale stagnazione dei salari reali
dal 2000.
Riassumendo i termini della questione, il discorso della Banca d’Italia
e di Confindustria (ma anche di numerosi rappresentanti sindacali) si
articola in due punti:

  • le retribuzioni in Italia sono inferiori a quelle degli altri più importanti paesi industrializzati
  • dall’inizio degli anni 2000
    (introduzione dell’euro), ma qualcuno si spinge anche fino al 1992
    (abolizione della scala mobile) le retribuzioni sono rimaste invariate
    o, al più, hanno subito lievi aumenti in termini reali.


Quota di PIL destinata ai salari - Tasso di disoccupazione

Fonte: base di dati dell’Unione Europea AMECO

 

In entrambi i casi l’analisi “nazionale” del problema condiziona
fortemente il ventaglio delle soluzioni possibili: così Romano Prodi
(sostenuto a gran voce dalla Sinistra dell’ex Unione) poteva facilmente
presentarsi come salvatore della Patria dichiarando, qualche giorno
prima della caduta del suo governo, che il momento dello sviluppo era
arrivato: grazie al cosiddetto «tesoretto», una consistente riduzione
delle tasse sul lavoro dipendente avrebbe rinvigorito una dinamica
salariale ormai quasi piatta.
Insomma sembrano lontani i tempi in cui Carlo Azeglio Ciampi attaccava
senza sosta gli eccessivi aumenti del costo del lavoro.
Improvvisa presa di coscienza o sottile strategia politica?

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